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Il suo benessere inizia molto prima della nascita

"Un tema importante che sta molto a cuore agli aspiranti genitori"

Capitolo 7 - La diagnosi prenatale

CATEGORIA: Il suo benessere comincia molto prima della nascita
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Quando si parla di visite ed esami in gravidanza, non si può non pensare a un altro tema importante, che in genere sta molto a cuore agli aspiranti genitori, cioè la diagnosi prenatale.

Un tempo il servizio sanitario pubblico offriva a tutte le donne in attesa di età uguale o maggiore di 35 anni – e a tutte quelle con fattori di rischio riconosciuti – la villocentesi o l’amniocentesi. Due esami invasivi che consistono nel prelievo con una siringa attraverso la parete addominale di un campione di tessuto della placenta o di liquido amniotico per analizzare il corredo genetico del concepito e diagnosticare con certezza eventuali difetti cromosomici, come la sindrome di Down, o malattie genetiche come la fibrosi cistica.

La villocentesi si può effettuare tra la 10° e la 14° settimana, l’amniocentesi preferibilmente tra la 16° e la 18° settimana. Dal 2017, con l’approvazione dei nuovi LEA, è rimasta l’offerta gratuita di villo o amniocentesi alle donne con specifici fattori di rischio. A tutte le altre, indipendentemente dall’età, è raccomandato tra l’11° e la 14° settimana un esame di screening che prevede la misurazione ecografica dello spessore della nuca fetale associata al cosiddetto bitest, un’analisi del sangue che misura la concentrazione di due proteine. Dal risultato combinato di questi due esami si ottiene una stima del rischio che il concepito sia affetto da trisomia 21, la sindrome di Down, trisomia 18, la sindrome di Edwards o trisomia 13, la sindrome di Patau.

Il bitest combinato alla misurazione dello spessore nucale non fornisce una diagnosi certa, ma una percentuale di rischio. Se il rischio risulta elevato, alla donna viene offerta gratuitamente l’amniocentesi per confermare o smentire il sospetto.

Negli ultimi anni, l’offerta di screening ed esami diagnostici si è ulteriormente arricchita grazie ai progressi del sequenziamento del DNA che permettono di passare in rassegna l’intero patrimonio genetico fetale a partire da un campione di liquido amniotico o di tessuto della placenta, cercando a tappeto le alterazioni responsabili di centinaia di malattie. Ed ecco che i laboratori più attrezzati offrono alle mamme in attesa “superamniocentesi” o “supervillocentesi”, vantandone la capacità di diagnosticare o escludere la maggior parte delle malattie di origine genetica di cui il feto potrebbe essere portatore.

I futuri genitori possono chiedere la ricerca delle malattie genetiche più comuni, come la fibrosi cistica e la sordità congenita, o l’analisi di un numero di geni maggiore. Il costo dell’esame varia di conseguenza, dai 600-700 euro a oltre 1.000, non rimborsati dal servizio sanitario pubblico.

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Questi esami così “capilllari”, non sono offerti dal SSN, né sono raccomandati dalla Società Italiana di Genetica Umana (22) perché in sostanza sono di scarsa utilità.

In assenza di precedenti familiari o di consanguineità tra i partner, la probabilità che una coppia abbia un bambino affetto da una malattia dovuta a un difetto genetico è estremamente bassa, inferiore all’1%. Escludere alcune centinaia di patologie non abbassa ulteriormente il rischio in modo significativo, anche perché le patologie di cui non si conoscono i geni responsabili, e che quindi a oggi non è possibile diagnosticare con questi test, sono molto più numerose di quelle conosciute. Infine, ci sono casi in cui dall’esito dell’esame non è possibile stabilire se il feto è portatore sano oppure affetto dalla malattia e, quand’anche ne fosse affetto, non è possibile definire la gravità del quadro clinico, perché la stessa variante genetica si esprime in modo differente da un individuo all’altro e i sintomi potrebbero essere tanto sfumati da rendere difficile parlare di malattia. Gli aspiranti genitori, quindi, apprendono dal referto che c’è un’anomalia, ma non possono sapere che cosa comporta: è una situazione che genera ansia senza via d’uscita.

Un altro strumento sviluppato di recente è il NIPT, Non Invasive Prenatal Test, che permette di esaminare il DNA fetale senza bisogno di prelevare liquido amniotico o cellule dei villi coriali, dunque senza interventi invasivi. Si basa sul fatto che piccole quantità di materiale genetico fetale superano la barriera della placenta in gravidanza e circolano nel sangue materno. Con le tecniche attuali è possibile isolare questo DNA da un campione di sangue della donna e analizzarlo per identificare eventuali anomalie cromosomiche, come la sindrome di Down, e cercare alcune specifiche malattie genetiche, come la fibrosi cistica.

Pur essendo estremamente attendibile, molto più della combinazione di bitest e misurazione dello spessore nucale, il NIPT non è ancora considerato un test diagnostico in grado di fornire un risultato certo, ma solo una stima del rischio. Qualora il risultato dovesse evidenziare un’anomalia, è necessario effettuare il tradizionale esame invasivo per avere la conferma della diagnosi. Si può fare già dalla 10° settimana di attesa e il suo costo varia dai 600 a oltre 1.000 euro a seconda delle informazioni cercate. Non è rimborsato dal Servizio Sanitario Nazionale perché molto più costoso di bitest e misurazione dello spessore nucale.

(22) “Uso appropriato delle tecniche di CMA (ChromosomalMicroarray Analysis) nella diagnosi prenatale”, Raccomandazioni congiunte della Società Italiana di Genetica Umana e della Società Italiana di Ecografia Ostetrico-Ginecologica, 2017

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