Approfondimenti scientifici
Il pianto del neonato
Molti neonati, al momento del risveglio o nel passaggio tra una fase di sonno e l’altra, si mettono a piangere. Gli esperti consigliano di intervenire tempestivamente, prendendo in braccio il bambino senza attendere troppo. Una risposta pronta, infatti, aiuta il neonato a calmarsi prima che l’ansia aumenti al punto da rendere molto più difficile consolarlo.
Rispondere con prontezza al pianto non è solo un gesto pratico, ma ha anche un profondo valore affettivo: contribuisce a costruire un legame di fiducia tra il bambino e chi si prende cura di lui. Dopo nove mesi trascorsi nel grembo materno, il neonato ha bisogno di continuità: cerca il calore della mamma, il suo odore, il battito del suo cuore e soprattutto il contatto fisico costante, in particolare nei primi quattro mesi di vita.
È proprio per questo che molti neonati nei primi mesi piangono spesso: sentirsi separati dalla madre li fa sentire smarriti e vulnerabili. Il pianto è l’unico strumento che hanno per esprimere un disagio o richiamare l’attenzione.
Molti genitori, soprattutto le mamme, si sorprendono nel vedere che il pianto si placa semplicemente prendendo in braccio il bambino. Spesso, però, questo comportamento viene frainteso e interpretato come un “capriccio” o un vizio. In realtà, nei primi mesi di vita non esistono capricci: si tratta di bisogni primari e irrinunciabili.
Uno stile di accudimento basato sul contatto costante – come tenere il bambino in braccio, allattarlo a richiesta e accompagnarlo nel sonno – favorisce la sua sicurezza emotiva. Contrariamente a quanto si pensa, non lo renderà dipendente, ma anzi lo aiuterà a sviluppare fiducia, autonomia e maggiore serenità. Un neonato che si sente ascoltato e rassicurato avrà meno bisogno di ricorrere al pianto per richiamare la presenza della mamma, e sarà meno incline a sviluppare stati di agitazione o paura.